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      Uccisioni, bandi, confische io non ne feci: neppure contro quelli che m’avevano voluto ammazzare, benchè sieno necessarie queste cose, massime nel principiar signoria. Con l’umanità, con la dolcezza, col mostrarmi civile con tutti, speravo mirabilmente di condurli ad ubbidire. Subito mi rappattumai e riconciliai coi miei nemici, e presi molti di loro a consiglieri e compagni. Vedendo la città scaduta per negligenza dei magistrati, molti dei quali rubavano anzi sperperavano il comune, rifeci aquedotti, rizzai begli edifizi, afforzai la cerchia delle mura; le pubbliche entrate, dandole in mano ad onesti riscotitori, accrebbi di molto; educavo i giovani, provvedevo ai vecchi; al popolo davo spettacoli, distribuzioni, feste, cuccagna: insultare le donzelle, corrompere i giovani, rapire le donne, mandare sgherri, minacciar da padrone, eran cose abborrite da me anche a udirle. E già m’ero proposto di lasciar la signoria e scaricarmi del potere, e pensavo solamente come farlo con sicurezza; giacchè il governare e fare tutto m’era divenuto grave, e parevami una fatica che mi procacciava invidia: sicchè cercavo di ordinare le cose in modo che la città non dovesse avere più bisogno di siffatta medicina. Mentre io nella mia semplicità pensavo a questo, essi cospiravano contro di me, speculavano un modo per cogliermi e ribellarsi, univano congiurati, raccoglievano armi, provvedevano danari, aizzavano le città vicine, inviavano messi in Grecia ai Lacedemoni ed agli Ateniesi. Quello che avevan decretato di me, se m’avessero preso, le minacce che facevano di squartarmi con le loro mani, e i tormenti che volevano darmi, li confessarono essi stessi pubblicamente sotto la tortura.


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Opere di Luciano voltate in italiano da Luigi Settembrini
Volume Secondo
di Lucianus
Edizione Le Monnier Firenze
1862 pagine 538

   





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