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      Il dubitar che voi fate ed il mettere a partito se si dee ricevere l’offerta, o rimandarla, io credo che sia un’irreligiosità, anzi giunga ad un’empietà massima: questo non è altro che un sacrilegio, tanto più grave degli altri, quanto il dissuadere chi vuole offerire è cosa più empia che rubare le offerte. Io vi prego, essendo di Delfo anch’io, e partecipe della pubblica buona fama, se ce la manterremo, o del biasimo che potrà venirci da questo affare, di non allontanare dal tempio le persone religiose, nè discreditare innanzi al mondo la città nostra, come quella che cavilla su i doni mandati al dio, ed esamina con giudizio e tribunale i donatori. Nessuno più si attenterà di portare un’offerta, sapendo che il dio non accetterà ciò che prima non sarà piaciuto ai Delfi. Eppure Apollo ha mostrato chiara la sua volontà intorno a questo dono: chè se egli odiava Falaride, ed abborriva il dono, gli era facile affondarlo in mezzo al Jonio con tutta la nave che l’ha portato; ma per contrario egli ha dato loro, come dicono, un bel tempo nella traversata, e sbarcar salvi in Cirra. Onde è manifesto che egli gradisce la pietà di questo monarca: e voi dovete volere ciò che egli vuole, ed aggiungere questo toro agli altri ornamenti del tempio: perchè sarebbe la cosa più assurda del mondo, che chi manda un sì magnifico dono al dio, ricevesse dal tempio una condanna, e per premio della sua pietà fosse giudicato indegno anche di fare un’offerta. Il mio avversario, come ei fosse or ora sbarcato d’Agrigento, ha fatto un gran dire delle uccisioni, delle violenze, delle rapine, delle incarcerazioni del tiranno; e per poco non ci ha detto che le ha vedute egli con gli occhi suoi, mentre sappiamo che egli non è andato neppure sino alla nave.


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Opere di Luciano voltate in italiano da Luigi Settembrini
Volume Secondo
di Lucianus
Edizione Le Monnier Firenze
1862 pagine 538

   





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