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      La gente che v’era, e vi corse quasi tutta la città, e femmine, e vecchi, e fanciulli, allibbirono, e si messero a pregare ed adorare. Ed egli profferendo parole ignote, forse ebraiche o fenicie, stordiva quei poveretti che non intendevano ciò che ei diceva, se non che spesso vi tramescolava i nomi di Apollo e di Esculapio. A un tratto corre al futuro tempio, e venuto alla fossa che doveva essere la fonte dell’oracolo, discende nell’acqua, cantando a gran voce inni ad Apollo e ad Esculapio, e chiamando il dio a venire felicemente nella città: poi chiede una coppa, ed avutala, in essa prende facilmente con l’acqua e con la belletta quell’uovo, nel quale egli aveva chiuso il dio, turatone il foro con cera e con biacca; e preso in mano l’uovo, dice: Ecco Esculapio. La gente guardavano fisi, e si maravigliavano come egli avesse trovato un uovo in una pozzanghera. Ma quando egli lo ruppe, e nel cavo della mano mostrò quel serpentello, tutti che lo vedevano muovere ed avvolgerglisi intorno le dita, misero un grido, salutarono il dio, dissero beata la città, e ciascuno a bocca aperta pregava, e gli chiedevano tesori, ricchezze, sanità, e tutti gli altri beni. Difilato egli si ritrasse a casa, portando seco l’Esculapiuccio due volte partorito, non una come gli altri, e nato non da Coronide nè da una cornacchia,(37) ma da un’oca: tutto il popolo lo seguivano invasati e pazzi di speranze.
      Per alquanti giorni si stette in casa, sperando, come avvenne, che alla fama trarrebbero tutti i Paflagoni.


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Opere di Luciano voltate in italiano da Luigi Settembrini
Volume Secondo
di Lucianus
Edizione Le Monnier Firenze
1862 pagine 538

   





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