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      Spesso prometteva la sanità agli ammalati gravemente, quei morivano, e pronto un altro oracolo ricantava il contrario:
      Più scampo non cercar dal crudo morbo:
      Morte t’è sopra, nè potrai sfuggirla.
      Sapendo che gli oracoli di Claro, di Didimo, e di Mallo erano in grande riputazione, li carezzava per farseli amici, e loro inviava molti che venivano ad interrogarlo. Ad uno diceva:
      Va tosto in Claro ad ascoltar mio padre;
      ad un altro:
      Ai penetrali dei Branchidi appressati,
      E odi la voce dei divini oracoli;
      e ad un altro:
      Va in Mallo, dove oracoleggia Anfiloco.
      Queste cose avvenivano tra i confini della Jonia, della Cilicia, della Paflagonia e della Galazia: ma come la fama dell’oracolo giunse in Italia e si sparse in Roma, vi nacque una gara; chi v’andava, chi vi mandava, specialmente i più potenti e di maggior grado nella città. Tra i quali primo e principalissimo fu Rutiliano, uomo bello e buono(39) in tutt’altro, e in molti uffizi stimato dai Romani, ma sì perduto di superstizioni e credulo di miracoli, che se vedeva pure una pietra unta d’olio o coronata di fiori, subito s’inginocchiava, adorava, vi stava innanzi molto tempo, le chiedeva grazie, le faceva orazioni. Come costui udì le cose che si dicevano dell’oracolo, poco mancò che non lasciò l’uffizio e gli affari che aveva per mano e non corse in Abonotechia. Vi mandò corrieri sovra corrieri, i quali, come ignoranti, erano facilmente ingannati; e tornati, contavano ciò che avevano veduto, e ciò che avevano udito come se l’avessero veduto, aggiungendovi qualche altra cosa del loro per più piacere al signore: cosicchè rinfocolarono quel povero vecchio, e lo fecero in tutto uscire del senno.


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Opere di Luciano voltate in italiano da Luigi Settembrini
Volume Secondo
di Lucianus
Edizione Le Monnier Firenze
1862 pagine 538

   





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