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      E tu che farai, o Lessifane, verrai, o sosterai quiritta?
      «Ed io: Ab antiquo io ho voglia di lavarmi: chè non istò camminabile(57), ed ho male alla forcata, chè ho cavalcato in bardella, e il cavalcaturaio stimolava forte, benchè egli seguitasse zoppicon zoppiconi. In villa poi non mi sono scioperato: ho trovato i lavoratori che sfringuellavano la canzon della state, e alcuni preparavano il sepolcro a mio padre: ho intombato anch’io con essi, e ho dato loro un po’ di mano a fare un argine; e li ho lasciati tra pel freddo e per le scottature: sai che il freddo fa le scottature. Messomi a girar pei vangati, ho trovato gli agli cresciuti, e avendo sterpato alcuni chioviditerra(58), e coltami una minestrata d’erbe, e mietuto civaie, e non essendo ancora i prati odorati per piacermi di camminar fantaccino, son rimontato in bardella, e mi sono scuoiato il perineo: ed ora cammino sopra dolori, ed ho continui sudori, ed il corpo infranto, e proprio un bisogno di farmi una gran nuotata nell’acqua: mi ricreo dopo la fatica a lavarmi. Vo dunque a scontrare il ragazzo che doveva aspettarmi presso la pattonaia, o il cenciaio: benchè gli avevo detto mi fosse venuto incontro alle taverne. Ma to’, eccolo che viene, ed ha comperato, a quanto vedo, pan di forno, e succenericcio, e porri, e trippa, e il callo del collo, e la giogaia, e la centopelle, e le busecchie. Bravo Atticoccio, m’hai scorciata mezza la via.
      «Ed egli: Io mi sono scerpellato, o padrone, sguaraguardando di qua e di là per trovarti.


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Opere di Luciano voltate in italiano da Luigi Settembrini
Volume Secondo
di Lucianus
Edizione Le Monnier Firenze
1862 pagine 538

   





Lessifane Atticoccio