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      Caricle per contrario aveva intorno a sè un coro di ballerine e di sonatrici, e tutta la casa, come nelle feste di Cerere, era piena di donne, e non c’era mica d’uomo, se non qualche bambino, e qualche vecchio cuciniere, che per l’età non desse sospetto di gelosia. Queste adunque erano chiare pruove, come ho detto, dell’indole dell’uno e dell’altro. Spesso erano surte fra loro alcune brevi scaramucce, che non avevano ancor decisa la quistione. Ora essendo venuto il tempo di partire, essi si deliberarono d’imbarcarsi con me; perche già avevano l’intenzione di venire in Italia, dov’io andavo. E venutaci vaghezza di approdare a Cnido per vedere il tempio di Venere, tanto celebrato per la statua venustissima, capolavoro di Prassitele, dolcemente ci accostammo alla terra, la stessa dea, cred’io, in piena bonaccia sospingendo il naviglio. Quivi la ciurma si diede alle sue solite faccende, ed io messomi in mezzo a quel paio d’innamorati, me ne andai girando per Cnido, non senza riso rimirando lascive figurine di creta, come si conviene in una città di Venere. Avendo girato pel portico di Sostrato, e per altri luoghi che potevano dilettarci, ci avviammo al tempio di Venere, noi due, Caricle ed io assai volentieri, Callicratide di male gambe, perchè andava a vedere una femmina; e pensomi che avria scambiata la Venere di Cnido per l’Amore di Tespe.(85) Ed ecco verso noi dal sacro ricinto spirare aure lascive; chè l’atrio non era un suolo sterile lastricato di pietre lisce, ma secondo luogo sacro a Venere, era fertile d’ogni maniera d’alberi fruttiferi, che spandendo i fronzuti rami coprivano quell’aere come con una volta di verzura.


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Opere di Luciano voltate in italiano da Luigi Settembrini
Volume Secondo
di Lucianus
Edizione Le Monnier Firenze
1862 pagine 538

   





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