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      Ed io, se, come è legge della natura umana, lo prenderà una malattia, io mi ammalerò con lui; se anderà per tempestoso mare, io navigherò con lui; se un tiranno lo metterà in catene, io mi metterò negli stessi ferri con lui; chiunque odierà lui sarà nemico mio, ed amerò quelli che gli vorranno bene; se vedrò ladroni o nemici assalirlo, io lo difenderò di tutte mie forze; e se egli morrà, io non vorrò vivere, ed a quelli che dopo di lui mi saran cari io darò gli ultimi comandi di rizzare un tumulo per tutti e due, alle sue ossa mescolare le mie ossa, e le mute ceneri non separare. E non sarei io il primo a far questo per uno degno dell’amor mio; ma gli eroi che per senno sono vicini agli Dei ne diedero l’esempio, nei quali questo amore d’amicizia spirò con la morte. Erano ancora fanciulli quando Focide accoppiò Oreste e Pilade, che prendendo un dio a mediatore del loro affetto scambievole, come sovra la stessa barca navigarono il mar della vita: entrambi uccisero Clitennestra, come se fossero figliuoli d’Agamennone, entrambi Egisto: quando le furie agitavano Oreste, Pilade n’era più straziato, e nel giudizio corse lo stesso pericolo. Questa loro amorosa amicizia non si stette nei confini della Grecia, ma navigò con loro sino agli ultimi termini della Scizia, dove giunsero l’uno ammalato, l’altro che lo curava. Dismontati in Tauride, tosto la furia del matricidio si fece loro incontro; e mentre i barbari li accerchiavano, e Oreste pel consueto furore giaceva caduto a terra, Pilade:


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Opere di Luciano voltate in italiano da Luigi Settembrini
Volume Secondo
di Lucianus
Edizione Le Monnier Firenze
1862 pagine 538

   





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