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      Tutte le adoperò quest’arti contro il povero Dinia; e come s’accorse ch’egli era già cotto e fradicio d’amore, e non vedeva più, pensò una novella ribalderia per finirlo. Finse esser gravida di lui (e non ci vuol altro per fare andare in brodetto un baggiano); e non andò più a trovarlo, dicendo che il marito aveva scoperto il loro amore, e la spiava: ed egli che non poteva stare più senza vederla, smaniava, piangeva, le mandava i suoi adulatori, chiamava ad alte grida la sua Cariclea; ne abbracciava la statua che ne aveva fatto fare di bianco marmo, strideva, si voltolava per terra, ed era proprio preso da una rabbia. I doni che egli aveva fatto a lei erano altro che poma e corone di fiori, ma casamenti interi, e poderi, e schiave, e vesti ricamate, ed oro quanto ne aveva voluto. Che più? La casa di Lisione rinomatissima in tutta la Ionia, in breve fu spoglia e vuota. E come ella lo vide ridotto al verde, lo piantò, e tornò a civettare con un giovane cretese, assai ricco, al quale ella già voleva bene, o glielo faceva credere. Piantato adunque Dinia non solo da Cariclea, ma dagli adulatori che s’erano iti anche essi intorno al cretese, vassene da Agatocle, che già sapeva di quella disgrazia, e prima per un po’ di vergogna gli accennò, poi gli narrò ogni cosa, il suo amore, la miseria, i dispregi della donna, il rivale cretese, ed infine disse che egli morrebbe se non avesse Cariclea. Agatocle pensando che non era quello il tempo di ricordargli come egli solo amico era stato scacciato e posposto agli adulatori, non avendo altro che la casa paterna in Samo, la vendette, e gliene portò il prezzo di tre talenti.


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Opere di Luciano voltate in italiano da Luigi Settembrini
Volume Secondo
di Lucianus
Edizione Le Monnier Firenze
1862 pagine 538

   





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