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      E poi che Dinia fu confinato, neppure allora egli abbandonò l’amico; ma si condannò da sè al confine di Giaro: dove essendo ridotti ad estremo bisogno, egli si pose a giornata coi pescatori di porpora, faceva il marangone, e con ciò che guadagnava sosteneva Dinia; lo curò in una lunga malattia, e poi che quegli fu morto, non volle più tornare in patria, ma rimase in quell’isola, avendo a vergogna di lasciar l’amico anche morto. Eccoti che fece un amico greco, e non è stato da molto tempo; chè non so se sono ancora cinque anni che Agatocle è morto in Giaro.
      Tossari. Quanto vorrei, o Mnesippo, che tu non avessi giurato per potere non credere a cotesto racconto. Questo Agatocle è proprio un amico Scita; e temo che non potrai dirmene un altro simile a lui.
      Mnesippo. Eccotene un altro, o Tossari; Eutidico di Calcide. Me ne contò il fatto padron Similo di Megara, giurandomi che l’aveva veduto con gli occhi suoi. Dicevami che egli navigava d’Italia per Atene, verso il cader delle Pleiadi, e portava alcuni passeggieri, tra i quali Eutidico e Damone suo amico, anche di Calcide, entrambi d’una età, ma Eutidico robusto e forte, e Damone pallido, debole, e allora, come pareva, uscito d’una lunga malattia. Fino alla Sicilia navigarono felicemente, diceva Similo: ma valicato lo stretto ed allargatisi nel Jonio, li sorprese una grande tempesta. Chi ti diria de’ cavalloni, de’ vortici, della grandine, e di quante altre cose vengono con una burrasca? Erano presso a Zacinto, andavano con la vela ammainata, e trascinando molte sarte gettate per rompere l’impeto dei marosi, quando verso la mezzanotte, per quel gran tempellamento, Damone mareggiandosi e piegandosi ad una sponda per vomitare in mare, la nave per un’ondata più forte piegò da quella banda ed ei cadde a capo giù nel mare: e per maggior disgrazia era vestito, e non poteva ben nuotare.


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Opere di Luciano voltate in italiano da Luigi Settembrini
Volume Secondo
di Lucianus
Edizione Le Monnier Firenze
1862 pagine 538

   





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