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      Siro fu legato subito, ed anche il suo padrone Antifilo, il quale stava in iscuola a udire il maestro, e ne fu tratto fuori. Nessuno dei compagni lo aiutò, anzi lo fuggirono come ladro del tempio d’Anubi, e tennero a gran peccato che qualche volta avevano bevuto e mangiato con lui. Gli rimanevano due altri servi che gli spazzarono ben bene la casa, e fuggirono. Gemeva nei ceppi da molto tempo il povero Antifilo, tenuto pel più ribaldo di quanti malfattori erano in carcere: ed il custode, che era un egiziano superstizioso, si credeva di fare il piacere e la vendetta del dio, a tormentare Antifilo. E se egli voleva difendersi, e diceva di non saper nulla del fatto, era tenuto uno sfacciato, e gliene veniva più male. Già s’era ammalato, ed il male più gli cresceva giacendo egli a terra, e non potendo la notte neppure distendere le gambe serrategli nei ceppi: chè il giorno aveva una catena al collo ed una mano legata, ma la notte doveva essere legato tutto. E poi il puzzo del carcere, l’afa, la moltitudine de’ prigionieri quivi stivati sì che appena si respirava, il rumore de’ ferri, il poco sonno, tutte queste cose insieme erano gravi ed insopportabili ad un uomo non usato a così dura vita. Già gli venivano meno le forze, e neppur cibo voleva prendere, quando giunse Demetrio, che niente sapeva del caso. Informatosi d’ogni cosa, tosto corse al carcere, ma per allora non entrò, perchè l’ora era tarda, ed il custode, serrata la porta, s’era andato a dormire, avendo commesso ai suoi famigli di far bene la guardia.


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Opere di Luciano voltate in italiano da Luigi Settembrini
Volume Secondo
di Lucianus
Edizione Le Monnier Firenze
1862 pagine 538

   





Antifilo Anubi Antifilo Antifilo Demetrio