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      Meravigliato Leucanore, che sapeva come Arsacoma era povero anche tra gli Sciti, gli domandò: Quanti armenti e quanti carri hai, o Arsacoma? chè queste sono le ricchezze vostre. Io non ho carri, rispose, nè greggi, ma ho due buoni e bravi amici che non li ha nessun altro Scita. A questo scoppiò un gran riso, ed egli fu sprezzato, e tenuto ubbriaco. L’altro dì essendo stato scelto fra tutti Adimarco, si dispose a menare la sposa nella Meotide fra i Maclui. Arsacoma, tornato in paese, riferisce agli amici come è stato sprezzato dal re, e deriso nel convito, perchè creduto povero. Eppure, ei dice, io gli ho detto quanto è grande la mia ricchezza, che siete voi, o Loncate e Macenta, e che l’amor vostro è cosa più preziosa e più salda di tutta la potenza dei Bosforani. Ma mentre io diceva questo, egli ci derideva, e ci sprezzava, ed ha data la figliuola in isposa ad Adimarco Macluo, perchè questi diceva di avere dieci coppe d’oro, ottanta carri e quattro letti, e pecore e buoi assai. Così egli ha stimato più di uomini prodi molto bestiame, tazze inutili, e carrettoni pesanti. Io, o amici miei, mi dolgo e dell’una cosa e dell’altra: chè ed amo Mazea, e mi cuoce assai l’offesa fatta ad uomini come voi, e credo che anche voi siete stati offesi. Ciascuno di voi ha la terza parte di questa offesa, se pure è vero che da quando siamo uniti noi viviamo come un solo uomo, ed abbiamo comuni i dolori ed i piaceri. — Non una parte, rispose Loncate, ma ciascuno di noi la sente tutta quanta l’ingiuria fatta a te.


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Opere di Luciano voltate in italiano da Luigi Settembrini
Volume Secondo
di Lucianus
Edizione Le Monnier Firenze
1862 pagine 538

   





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