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      Così dunque stavasi Arsacoma, e così radunò un cinquemila cavalieri, e un ventimila tra fanti leggieri e gravemente armati. Intanto Loncate giunto sconosciuto al Bosforo presentasi al re occupato in certo affare di regno, e gli dice che egli viene non pure come pubblico ambasciatore degli Sciti, ma ancora per informarlo privatamente di cosa assai grave. Il re gli comandò parlare, ed egli disse: Gli Sciti per comun bene rifanno la solita domanda, che i vostri pastori non discendano nella pianura, ma che si stiano a pascere su i monti: dicono che i ladri che vanno scorrazzando pel vostro paese non sono mandati dal consiglio pubblico, ma rubano per privati guadagni: quanti ne cogli, sei padrone di punirli. Questo ti mandano a dire essi. Io poi ti avverto che vi verrà addosso un grande assalto da Arsacoma figliuolo di Mariante, che testè fu qui ambasciatore, perchè avendoti chiesta la tua figliuola, e non avendola da te ottenuta, sta pieno di sdegno, da sette giorni siede sul cuoio, ed ha raccolta un’oste grande. — Sapevo, rispose Leucanore, che si levano truppe sul cuoio, ma non sapevo che sono contro di noi, e che Arsacoma le conduce. — Contro di te, disse Loncate, è quell’apparato. Arsacoma è mio nemico, e m’odia perchè io più di lui sono onorato dagli anziani, e tenuto più valente in tutto: ma se tu mi prometti l’altra tua figliuola Barcete (ed io sono ben degno d’imparentarmi con voi), io tra breve verrò a portarti il capo di Arsacoma. — Te la prometto, rispose il re, tutto spaurito chè conosceva come Arsacoma era sdegnato pel negato maritaggio, e poi aveva temuto sempre degli Sciti.


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Opere di Luciano voltate in italiano da Luigi Settembrini
Volume Secondo
di Lucianus
Edizione Le Monnier Firenze
1862 pagine 538

   





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