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      Ed ella con ambo le mani percotendosi la faccia: Meschina me! diceva, ho fatto un gran male; per la fretta ho scambiato i bossoli, ne ho preso un altro simile, non quello che fa nascere le penne. Ma non t’affannare, cuor mio: c’è il rimedio facile. Purchè mangi rose subito ti spoglierai del giumento, e mi tornerai il mio damo. Ma, bellino mio, statti asino per questa notte sola: dimani per tempo correrò a portarti le rose, tu le mangerai, e sanerai. — E così dicendo mi carezzava le orecchie, e mi palpava per tutta la pelle. Io, sebbene fossi asino in tutto il resto, pure nell’animo e nella conoscenza rimasi uomo, desso Lucio, tranne la voce. Però fra me stesso mandando il canchero a Palestra che aveva sbagliato, e mordendomi il labbro, me ne andai dove sapevo che stavano il mio cavallo, ed un altro vero asino d’Ipparco. I quali sentendomi entrare, e temendo non fossi venuto per dividere il fieno con loro, rizzaron gli orecchi, e si prepararono a vendicare il ventre coi piedi: io me ne accorsi, e tenendomi lungi dalla mangiatoia, me ne ridevo, ed il mio riso era raglio. Intanto io pensavo tra me: Oh! curiosità intempestiva! E se ora qui entrasse un lupo, o qualche altra belva? Correrei pericolo, senz’aver fatto nulla, d’essere sbranato! Così pensavo, e non sapevo, misero me, il male che mi era sopra.
      Quando la notte era alta, il silenzio grande, e più dolce il sonno, odo un rumore da fuori nel muro, come se ei fosse forato, ed era forato, e vi fu fatto un buco da capirvi un uomo, e tosto v’entra un uomo, e poi un altro, e molti son dentro, tutti con le coltella.


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Opere di Luciano voltate in italiano da Luigi Settembrini
Volume Secondo
di Lucianus
Edizione Le Monnier Firenze
1862 pagine 538

   





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