Pagina (392/538)

   

pagina


Pagina_Precedente  Pagina_Successiva  Indice  Copertina 

      Legano nelle stanze Ipparco, Palestra, ed il mio servo, e senza timore svaligiano la casa, portando via danari, vestimenta, masserizie. Avendo scopato ogni cosa, pigliano me, l’altro asino, ed il cavallo, ci mettono i basti, ci caricano addosso tutta la roba presa, e sotto quella gran soma a furia di mazzate ci cacciano verso la montagna, cercando di fuggire per la via meno battuta. Che patissero gli altri giumenti non so dire; so che io, scalzo, non avvezzo, camminando su pietre taglienti, portando tanta roba addosso, mi sentivo morire: spesso inciampavo, e non m’era permesso neppure di cadere, che tosto uno di dietro mi tempestava le groppe con una mazza. Spesso volli esclamare oh Cesare, e non feci altro che ragghiare: usciva un Oh grande e sonoro, ma Cesare non veniva. Ma anche per questo mi picchiavano, perchè io li scoprivo col ragghio: onde accorgendomi a che mi riusciva il lamentarmi pensai di camminare in silenzio per risparmiare almen le picchiate. Intanto già era giorno, e noi avevam valicate molte montagne: ci avevano legato il muso con la cavezza per non farci pascere per via e perder tempo: onde per allora mi rimasi asino. A mezzogiorno facemmo alto in una villa di certuni, che erano loro pratiche, come parve a quel che fecero: che si salutarono, si baciarono tra loro, gl’invitarono a riposar nella villa, diedero lor desinare, e l’orzo a noi altri giumenti. I miei compagni se lo sgretolarono, io poveretto rimasi digiuno ed affamato, chè non avevo mangiato mai orzo crudo.


Pagina_Precedente  Pagina_Successiva  Indice  Copertina 

   

Opere di Luciano voltate in italiano da Luigi Settembrini
Volume Secondo
di Lucianus
Edizione Le Monnier Firenze
1862 pagine 538

   





Ipparco Palestra Cesare Cesare