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      Si trovò che anche lo sposo della donzella era venuto coi soldati, ed egli era stato quello che aveva scoperto questo covo di ladroni. Pigliata adunque la donzella, e fattala sedere sovra di me, così se la menò a casa. I paesani come ci videro ancor di lontano, capirono che l’impresa era riuscita, perchè io ne li avvisai con allegro ragghio, e venendoci incontro, ci fecero festa, e ci condussero a casa. La donzella ebbe molta cura di me, e ragionevolmente; insieme eravamo stati prigioni, insieme fuggiti, insieme dovevam fare quella morte: e i miei padroni per farmi scialare mi davano un medinno d’orzo al giorno, e tanto fieno che bastava anche ad un cammello. Ma io allora mandava più grosso il canchero a Palestra, la quale mi trasformò in asino e non in cane; perchè io vedevo i cani traforarsi in cucina e trangugiar molti e bei bocconi, che si fanno quando c’è nozze di ricchi sposi. Pochi giorni dopo le nozze, la padrona disse al padre che ella mi era obbligata, e che voleva rimeritarmi; ed il padre comandò che mi lasciassero andar libero per l’aperto, e pascere con le cavalle della sua razza, e disse: Così sarà libero, vivrà piacevolmente, e monterà le cavalle. — E questa pareva allora una ricompensa giustissima, se un asino ne doveva giudicare. Chiamato adunque uno dei butteri, a lui mi raccomanda, ed io fui tutto lieto che non doveva portare più soma. Poi che giungemmo al podere il mandriano mi mescolò tra le cavalle, e ci cacciò a pascere.
      Ma anche qui, come avvenne a Candaulo, doveva anche a me avvenire il peggio.


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Opere di Luciano voltate in italiano da Luigi Settembrini
Volume Secondo
di Lucianus
Edizione Le Monnier Firenze
1862 pagine 538

   





Palestra Candaulo