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      Il soldato levatosi di mezzo la via col capo intronato, come si disse, e tutto ammaccato, viene in città, e scontratosi nei suoi commilitoni, racconta il fatto dell’audace ortolano. Questi si accozzano a lui, girano, spiano, vengono a sapere dove eravamo nascosti, e chiamano in aiuto i magistrati della città. I quali mandano dentro alcuni loro sergenti; e fanno uscire quanti sono in casa: tutti escono, e l’ortolano non comparisce. I soldati dicevano che dentro stava l’ortolano, e l’asino suo che era io; e i sergenti rispondevano che non v’era rimasto nessuno, nè uomo nè asino. Facendosi molto rumore e schiamazzo nel chiassuolo, io che sono stato sempre risicoso e curioso di tutto, volendo vedere chi erano quelli che schiamazzavano, di lassù fo capolino dalla finestrella. Mi videro i soldati e subito gridarono: i sergenti furono trovati bugiardi: i magistrati entrano essi, e rovistato per tutto, trovano il mio padrone accovacciato nell’armadio, e lo pigliano e menano in carcere a render conto del fatto suo: io fui portato giù, e dato in mano ai soldati. La gente non finiva di ridere dell’asino che aveva fatto la spia dalla soffitta, e tradito il padrone: ed allora da me nacque il detto comune: il capolin dell’asino. Il giorno seguente che avvenne dell’ortolano mio padrone io non lo so: il soldato pensò di vendermi, e mi vendette per venticinque dramme attiche.
      Quei che mi comperò era un servo d’un gran ricco di Tessalonica, la maggiore città di Macedonia. Costui faceva il cuoco, apparecchiava le vivande al padrone, ed aveva un fratello suo conservo che sapeva fare il pane e le paste dolci.


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Opere di Luciano voltate in italiano da Luigi Settembrini
Volume Secondo
di Lucianus
Edizione Le Monnier Firenze
1862 pagine 538

   





Tessalonica Macedonia