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      Giove. Vedo donde hai appreso queste astute dimande, da quegli scellerati sofisti, i quali dicono che noi non provvediamo affatto agli uomini. Chè quegli empi le sanno queste girandole, e persuadono agli altri di non farci nè sagrifizi nè preghiere, come sieno inutili; perchè noi non ci prendiamo un pensiero di ciò che si fa tra voi, nè abbiamo alcun potere su le cose della terra. Ma avranno a pentirsi di questi parlari.
      Il Cinico. No, o Giove, giuro al fuso di Cloto, non me l’hanno insegnate essi queste dimande: ma non so come mi son venute da sè stesse nel discorso che facciamo. Permettimi ch’io ti faccia qualche altra interrogazioncella: non t’incresca di rispondermi, e rispondimi più sodo.
      Giove. Dimanda pure, giacchè hai tempo da perdere in queste inezie.
      Il Cinico. Dici tu che tutte le cose avvengono secondo il volere delle Parche?
      Giove. Sì.
      Il Cinico. E potete voi mutarle, e filarle in altro modo?
      Giove. Non mai.
      Il Cinico. Vuoi che la conseguenza la cavi io, o ti è chiara, senza che te la dica?
      Giove. È chiara. Ma chi ci offre sacrifizi, non ce li offre per necessità, per rimunerarci, per comperar da noi i beni che desidera, ma per onorare l’eccellenza della nostra natura.
      Il Cinico. Mi basta questo, che tu stesso dici che per nessuna utilità si fanno i sagrificii, ma per una certa bonarietà degli uomini, che onorano la vostra eccellenza. Eppure se fosse qui uno di quei sofisti ti dimanderebbe, in che tu dici più eccellenti gli Dei, i quali pur sono servi come gli uomini, e soggetti alle stesse padrone che sono le Parche.


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Opere di Luciano voltate in italiano da Luigi Settembrini
Volume Secondo
di Lucianus
Edizione Le Monnier Firenze
1862 pagine 538

   





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