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      Non ti gioverà allegare che paiono migliori perchè sono immortali: chè questa immortalità appunto è peggio por loro. Gli uomini almeno muoiono e diventano liberi: ma per voi il giuoco dura sempre, la servitù è eterna, il filo è lungo e non si spezza mai.
      Giove. Ma questa infinita lunghezza, o Cinico, questa eternità è felicità per noi, che viviamo sempre fra tutti i piaceri.
      Il Cinico. Non tutti, o Giove: anche tra voi c’è qualche distinzione, ed una brutta ineguaglianza. Tu sei felice, tu, perchè sei re, e puoi sollevare la terra ed il mare con la fune del pozzo. Ma Vulcano è un povero zoppo, un fabbro, abbrustolato sempre innanzi al fuoco: Prometeo una volta fu crocifisso. Che dirò di tuo padre, ancora incatenato nel Tartaro? Dicono che anche voi v’innamorate, che toccate qualche ferita talvolta, e che divenite anche servi degli uomini, come tuo fratello che fu servo di Laomedonte, ed Apollo di Admeto. Non mi pare una bella felicità cotesta, che alcuni di voi pare che se la godano più favoriti delle Parche, ed altri no. Lascio stare che voi siete rubati, come noi, e spogliati dai sacrileghi, e di ricchissimi diventate a un tratto poverissimi: ma molti di voi, essendo d’oro o d’argento, siete stati squagliati nel crogiuolo, per volere del Fato certamente.
      Giove. Ve’ come c’insulti, o Cinico linguacciuto? ma te ne pentirai.
      Il Cinico. Smetti, o Giove, dalle minacce: tu sai che non mi puoi far nulla, che la Parca non l’abbia stabilito prima di te. E poi io vedo che non puoi punire neppure i sacrileghi, moltissimi dei quali se la scappano, perchè, credo, il Fato non vuole che sien presi.


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Opere di Luciano voltate in italiano da Luigi Settembrini
Volume Secondo
di Lucianus
Edizione Le Monnier Firenze
1862 pagine 538

   





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