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      Giove. Niente affatto.
      Il Cinico. E neppure se uno facesse una buona azione senza volerla, egli non lo premierebbe: non è vero?
      Giove. Neppure.
      Il Cinico. Dunque, o Giove, egli non deve nè premiare nè punire nessuno.
      Giove. Come nessuno?
      Il Cinico. Perchè noi uomini non facciamo niente da noi, ma siamo soggetti ad una necessità inevitabile, se egli è vero quello di che testè siamo convenuti, che la Parca è cagione di ogni cosa. Però se uno uccide, ella è l’ucciditrice: se uno fa sacrilegio, fa quello che ella gli aveva comandato. Onde se Minosse volesse giudicare diritto dovria punire il Fato invece di Sisifo, e la Parca invece di Tantalo. Perchè che male han fatto costoro che hanno ubbidito ad un comando?
      Giove. Tu non meriti ch’io più risponda a cotali domande, tu sei un temerario ed un sofista: io me ne vado, e ti lascio.
      Il Cinico. Eppure io aveva bisogno di dimandarti qualche altra cosetta: dove stanno le Parche? elle son tre, e come bastano a tante e sì minute faccende? Le disgraziate debbono fare una mala vita avendo a mano tante fatiche e tante noie: e son nate proprio con un cattivo fato anch’esse. Per me, se mi fosse dato lo scegliere tra la vita loro e la mia, torrei di viver più povero che non sono, anzi che starmi a sedere sempre facendo girare un fuso di tanti fili aggrovigliati, ed aver sempre tanto d’occhi aperti su tutte le cose. Se a te, o Giove, non è facile rispondere a queste cose, io starò contento a quelle che mi hai risposto, e che mi bastano a chiarirmi del Fato e della Provvidenza.


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Opere di Luciano voltate in italiano da Luigi Settembrini
Volume Secondo
di Lucianus
Edizione Le Monnier Firenze
1862 pagine 538

   





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