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      Quei che vengon di Creta contano che lì han veduto una tomba, e sopravi una colonna con una scritta che dice che Giove non tuona più, perchè è morto da un pezzo.
      Momo. L’aspettavo questa bolzonata. Che è, o Giove, ti se’ fatto pallido, e arroti i denti, e tremi? Via, è nulla: disprezzali questi omiciattoli.
      Giove. Che dici, o Momo, disprezzarli? Non vedi quanta gente ascolta costui, e come sono già persuasi contro di noi, e come Damide li tira legati per gli orecchi.
      Momo. E tu, o Giove, quando vuoi, calando una catena d’oro, tutti quanti essiTira su con la terra e il mar sospeso.
      Timocle. Dimmi, o ribaldo, hai navigato mai?
      Damide. Molte volte, o Timocle.
      Timocle. Voi andavate per forza di vento che pingeva e gonfiava le vele, e di rematori, ma non c’era uno che stava al timone, e governava la nave?
      Damide. C’era.
      Timocle. La nave dunque non navigava senza un piloto, e questo universo credi tu che possa andare senza uno che lo governi?
      Giove. Bravo, o Timocle: questo è un paragon come va.
      Damide. Ma, o favorito degli Dei Timocle, quel pilota lo vedevi pensare sempre a cose utili, o preparare innanzi tempo, ed ordinarle ai marinai: e la nave non aveva niente di soverchio e d’irragionevole, ma tutto serviva ed era necessario alla navigazione. Ma cotesto pilota tuo, che tu credi governare questa gran nave del mondo, ed i suoi compagni marinai, non ordina nulla secondo ragione e convenienza; il canapo di prora legato a poppa, quello d’orza a poggia, e quel di poggia ad orza; l’ancore talvolta d’oro, e il paperino a prora di piombo; la carena dipinta, e i bordi greggi.


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Opere di Luciano voltate in italiano da Luigi Settembrini
Volume Secondo
di Lucianus
Edizione Le Monnier Firenze
1862 pagine 538

   





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