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      Micillo. Da nessuna delle due, o Pitagora.
      Il gallo. Eppure Omero dice che vi sono queste due sole.
      Micillo. Lascialo stare quel pazzo poeta, che non s’intendeva un’acca di sogni. Forse da quelle porte escono i sogni poveri, come li vedeva egli, e neppur li vedeva bene, perchè egli era cieco. Il mio è uscito dalla porta d’oro, era tutto d’oro, era tutto vestito e sfoggiato d’oro, e stava in un mondo d’ oro.
      Il gallo. Cessa, o buon Mida, cessa di parlar d’oro: il gran desiderio che n’hai, te n’avrà fatto sognare una miniera certamente.
      Micillo. Ah, era oro assai, o Pitagora, ed assai: immagina tu com’era bello, come luceva ed ardeva. Oh, come dice Pindaro quando lo loda? Ricordami, se sai, quei versi che dicon che l’acqua è ottima, e poi lodano l’oro: sono il principio della prima ode, la più bella fra tutte.
      Il gallo. Forse dici questi:
      Ottima è l’acqua: ma risplende l’oroDi ricco e gran tesoro
      Come fuoco fiammante in notte buia?
      Micillo. Per Giove! questi appunto. Come se avesse veduto il sogno mio, così Pindaro loda l’oro. Ma ora te lo voglio contare quel sogno, o sapientissimo gallo. Sai ch’io non mangiai in casa ieri. Eucrate il ricco mi scontrò in piazza, e m’invitò di andare dopo il bagno a cena da lui.
      Il gallo. Lo so pur troppo, chè ebbi una fame grande per tutta la giornata, finchè a sera tardi tornasti un po’ brillo, e mi portasti quelle cinque fave, che non furono una larga cena per un gallo, già stato atleta, e non ultimo de’ celebrati ne’ giuochi olimpici.
      Micillo. Tornato dopo cena, tosto mi coricai, poi che ti diedi le fave.


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Opere di Luciano voltate in italiano da Luigi Settembrini
Volume Secondo
di Lucianus
Edizione Le Monnier Firenze
1862 pagine 538

   





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