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      Ed ecco innanzi la porta vedo tra molti uno portato a braccia da quattro persone, quello invece del quale io doveva cenare, e che si diceva malato, e stava male davvero, chè affannava, tossiva, spurgava farfalloni che gli uscivan proprio dagli occhi; era pallido, e tutto gonfio, e pareva di sessant’anni circa. Dicevano ch’egli era un filosofo, di quei che vendon ciance ai giovani: aveva una sozza barba di becco che voleva proprio il barbiere. Dicevagli il medico Archibio che aveva fatto male a venire in quello stato, ed ei rispose: Non si deve mancare alle convenienze, specialmente da un filosofo, ancorchè abbia mille malanni addosso: Eucrate l’avria avuto a dispregio. No, risposi io, avria avuto più piacere se tu avessi voluto morire in casa tua, che venir nel convito a spurgar l’anima e il catarro. Ed ei da magnanimo fe’ sembiante di non avere inteso il motto. Indi a poco venne Eucrate dal bagno, e vedendo Tesmopoli (che così si chiamava il filosofo): O Maestro, disse, ci sei venuto da bravo: ma non avresti perduto briciola: ti saria stato portato a casa ogni cosa. In così dire entrò prendendo per mano Tesmopoli, che s’appoggiava ai suoi servi. Io già mi disponeva ad andarmene, ma Eucrate voltosi, e stato alquanto sopra di sè, e vedutomi ingrognato: Rimani, disse, anche tu, o Micillo, a cena con noi. Manderò il mio figliuolo a cenar con la madre nell’appartamento delle donne, affinchè ci sia il posto per te. Entrai adunque con la bocca aperta come lupo, ma un po’ vergognosetto, chè mi pareva di aver cacciato dal convito il figliuolo d’Eucrate.


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Opere di Luciano voltate in italiano da Luigi Settembrini
Volume Secondo
di Lucianus
Edizione Le Monnier Firenze
1862 pagine 538

   





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