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      Pure quel suo amico Patroclo io l’uccisi facilmente, trapassandolo di lancia.
      Micillo. E poi Menelao te molto più facilmente. Ma basta di questo: parlami ora di Pitagora.
      Il gallo. Isomma, o Micillo, io ero un sapiente, debbo ora dire il vero, e non aveva poca dottrina, nè aveva trascurato le più belle scienze. Andai in Egitto per ragionar con quei sacerdoti intorno alla sapienza, ed entrato nei loro penetrali, lessi i libri d’Oro e di Iside: e poi ritornato in Italia, ordinai così bene i Greci di quella regione, che mi credettero un dio.
      Micillo. L’ho udito dire questo, e che facesti lor credere di esser morto e risuscitato, e una volta mostrasti una gamba d’oro. Ma dimmi una cosa, come ti venne in capo di far quella legge di non mangiar nè carne nè fave?
      Il gallo. Non me lo dimandare, o Micillo.
      Micillo. E perchè, o gallo?
      Il gallo. Perchè mi vergogno a dirti il vero.
      Micillo. Eppure non dovresti essere così restio a parlare con un compagno, con un amico, chè non voglio dir più padrone.
      Il gallo. Non fu nè per utilità nè per saggezza, ma perchè io vedevo che le leggi consuete non m’avriano attirata l’ammirazione degli uomini; che più sarieno elle strane, più sarei creduto io uno dell’altro mondo. Però io feci quelle nuove e strane leggi, e feci un mistero della loro cagione, affinchè ciascuno la pensasse a modo suo, e tutti le rispettassero come oscuri oracoli. Vedi? anche a te tocca rider di me.
      Micillo. Non tanto, quanto tu ridevi de’ Crotoniati, dei Metapontini, dei Tarantini e degli altri, che tanti ti seguivano, e adoravano le orme che tu passeggiando lasciavi.


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Opere di Luciano voltate in italiano da Luigi Settembrini
Volume Secondo
di Lucianus
Edizione Le Monnier Firenze
1862 pagine 538

   





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