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      Sono costoro una razza d’uomini venuti su da poco tempo, oziosi, accattabrighe, vanitosi, stizzosi, ghiotti, inetti, superbi, pronti ad oltraggiar chicchessia, e, per dirla con Omero, inutile peso alla terra. Divisi per vari sistemi, e per diversi laberinti di ragionamenti da loro escogitati, si chiamano e Stoici, ed Academici, ed Epicurei, e Peripatetici, e con altri nomi molto più ridicoli di questi. Vestiti del venerando nome della virtù, con le ciglia aggrottate, con la barba sciorinata, coprono col finto aspetto i loro sozzi costumi, e son similissimi all’istrione, cui se togli la maschera e il vestimento ricamato d’oro, resta un ridicolo omiciattolo che per sette dramme rappresenta una parte. Eppure costoro hanno in dispregio tutti gli uomini, degli Dei parlano a sproposito, e radunando giovani sori declamano tragicamente certe pappolate su la virtù, e non insegnano che que’ loro ribaldi andirivieni di parole. Innanzi ai discepoli lodano a cielo la temperanza e la modestia, e sputano le ricchezze e i piaceri, ma quando son soli, chi può dirvi come banchettano, quanto son lussuriosi, e come leccano l’untume dell’obolo? E il peggio è che non essendo buoni a nulla nè per il comune nè per sè, essendo proprio inutili e soverchi,
      Inabili alla guerra ed ai consigli,
      ei riprendono gli altri con parole aspre e villane, e fanno il mestiere di censurare, sgridare, ingiuriar la gente che gli avvicina. E chi tra loro grida più forte, e dice più male parole, ed ha la fronte più dura, è tenuto più valente.


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Opere di Luciano voltate in italiano da Luigi Settembrini
Volume Secondo
di Lucianus
Edizione Le Monnier Firenze
1862 pagine 538

   





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