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      Se dimandassi a costui che tanto si sbraccia a gridare e ad accusar gli altri: Ma tu che sai fare, o valentuomo? che bene arrechi tu alla vita comune? ti risponderebbe, se volesse dire il giusto ed il vero: Io tengo per inutile la navigazione, l’agricoltura, la milizia, ed ogni arte: fo il mestiere di schiamazzare, di lavarmi con acqua fredda, di andar tutto sozzo e scalzo nel verno, e, come Momo, di calunniare tutti i fatti altrui. Se un ricco sfoggia in cene, o si tiene un’amica, questo è un affar che m’importa, e gli scarico in capo un sacco di villanie: ma se un amico o un compagno giace a letto ammalato ed ha bisogno di aiuto e di cura, non me ne importa un fico. Ecco, o Dei, che care gioie d’uomini! Quelli che si chiamano Epicurei sono i più arroganti, ci assalgono più furiosi, dicendo che gli Dei non si brigano affatto delle cose umane, e non gettano neppure uno sguardo su quel che accade laggiù. Pensateci bene adunque, perchè se costoro potran persuadere gli uomini, voi ci starete bene a stecchetto: chè, chi mai vi farà più sacrifizi, non aspettando niente da voi? Le doglianze della Luna voi le avete udite, espostevi ieri dal forestiere. Prendete ora il partito più utile per gli uomini, più sicuro per voi. Dicendo così Giove, tutta l’adunanza romoreggiò, e tosto scoppiarono in un grido: Fulmini, fuoco, sterminio, nel baratro, nel Tartaro, come i giganti. Ma Giove impose silenzio un’altra volta, e disse: Sì, sarà, come volete: saranno sterminati essi e la dialettica loro.


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Opere di Luciano voltate in italiano da Luigi Settembrini
Volume Secondo
di Lucianus
Edizione Le Monnier Firenze
1862 pagine 538

   





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