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      XLVII.
      DEL PARASSITO,
      OSSIACHE LA PARASSITICA È UN’ARTE.
     
     
      Tichiade. Come va, o Simone, che gli altri uomini e liberi e servi sanno ciascuno qualche arte, con la quale sono utili a sè ed agli altri; e tu, come pare, non sai fare niente che giovi a te stesso, o sia d’alcun pro agli altri?
      Parassito. Perchè mi fai questa domanda, o Tichiade, non t’ho capito ancora. Spiegati meglio.
      Tichiade. Conosci tu qualche arte, come a dire la musica?
      Parassito. Oh, no.
      Tichiade. Forse la medicina?
      Parassito. Neppure.
      Tichiade. La geometria?
      Parassito. Niente affatto.
      Tichiade. La rettorica forse? Della filosofia non è a parlare, chè ne sei tanto lontano quanto la cattiveria.
      Parassito. Io vorrei anche più, se si potesse. Onde non credere d’ingiuriarmi come ignorante: chè io dico che sono cattivo, e peggio, se vuoi.
      Tichiade. Via. Forse non le imparasti queste arti perchè lunghe e difficili; ma non potevi qualche arte meccanica, fare il fabbro, o il calzolaio? E poi lo stato tuo non è tale da non aver bisogno di un’arte di queste.
      Parassito. Dici bene, o Tichiade: di coteste non ne conosco nessuna.
      Tichiade. Dunque qualche altra?
      Parassito. Qualche? una eccellente, come pare a me: e se tu l’impari, credo la loderai anche tu. Nella pratica ti assicuro ci sono riuscito, benchè i precetti non te li so dire.
      Tichiade. E qual è?
      Parassito. Non ancora mi pare di averne meditato bene i principii. Ma ti basti di avere saputo che io conosco un’arte, e che non mi trovo tanto male: quale poi ella sia lo saprai appresso.
      Tichiade.


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Opere di Luciano voltate in italiano da Luigi Settembrini
Volume Terzo
di Lucianus
Edizione Le Monnier Firenze
1862, pagine 448

   





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