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      E vedi quali e quanti sono. Chi ha a vivere nel piacere deve poter cavarsi tutte le voglie che gli vengono. Non è così?
      Tichiade. Così mi pare.
      Parassito. Dunque chi possiede molto se le può forse cavare; ma chi poco o niente, no. Sicchè il povero non sarà sapiente, nè giungerà al fine, dico cioè al piacere. Ma neppure il ricco che spende la roba sua e si scapriccia, potrà giungervi. E come mai? Perchè spendendo il suo deve avere necessariamente molti impacci: ora deve battagliare col cuoco che ha mal preparate le vivande, e se non fa battaglia, mangia male e non consegue il piacere: ora col maggiordomo che non bada bene alle faccende di casa, un’altra battaglia. Forse non è così?
      Tichiade. Eh, così pare anche a me.
      Parassito. Tutto questo può avvenire ad Epicuro; dunque egli non conseguirà il suo fine. Ma il parassito non ha cuoco con cui si arrovelli, non campi, non case, non danari che gli dieno rammarico se li perde, e gode ogni cosa; onde mangia e beve, ed egli solo non ha nessuno degli affanni che quelli hanno per necessità. Che la parassitica sia un’arte con queste e con altre ragioni è dimostrato a sufficienza: rimane a dimostrare che ella sia la migliore, e non così semplicemente, ma in prima come ella superi tutte le arti in generale, e poi ciascuna in particolare. Le supera tutte in generale, perchè ogni arte vuole studio, fatica, timore, nerbate, le quali cose non piacciono a nessuno: e quest’arte sembra la sola che si possa imparare senza dispiaceri. Infatti chi mai uscì di convito piangendo, come vediamo alcuni uscir dai maestri? chi andando a convito ha viso malinconico, come quei che vanno a scuola?


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Opere di Luciano voltate in italiano da Luigi Settembrini
Volume Terzo
di Lucianus
Edizione Le Monnier Firenze
1862 pagine 448

   





Epicuro