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      Ed ecco, s’io sfoderassi questa piccola scimitarra che ho a fianco, e piombassi in mezzo a tutti questi vostri giovani, a un grido sarei padron del ginnasio, spulezzerebbero senza attentarsi di neppur riguardare il ferro, e aggirandosi intorno alle statue e nascondendosi dietro le colonne, mi farebbero ben ridere a vederli piangere e tremare. Oh, non li vedresti più con quel bello colorito in faccia, ma a un tratto impallidire e tingersi di paura. A tale vi ha ridotti la lunga pace che non sosterreste neppur la vista d’una cresta d’elmo nemico.
      Solone. Non parlavan così, o Anacarsi, nè i Traci che con Eumolpo ci assalirono, nè le vostre Amazoni, che guidate da Ippolita vennero contro la città nostra, nè quanti altri ci provarono nelle armi. Noi, o amico mio, non perchè affatichiamo i giovani nudi, però li mandiamo senz’armi nei pericoli: ma poi che hanno acquistato forza e destrezza in queste fatiche, si esercitano con le armi, e così disposti sanno meglio trattarle.
      Anacarsi. Ma dov’è il ginnasio in cui si combatte con le armi? Io non ne ho veduto alcuno nella città, e l’ho percorsa tutta.
      Solone. Tu vedrai, o Anacarsi, se rimarrai qualche tempo fra noi, che ciascun cittadino ha molte armi, di cui usiamo al bisogno, ed elmi, e creste, e cavalli, che quasi il quarto dei cittadini son cavalieri. Ma l’andar sempre armati e cinti d’una scimitarra crediamo che sia inutile in pace: anzi è vietato portar ferro in città senza un bisogno e mostrar armi in pubblico. Voi siete scusabili se vivete sempre con le armi alla mano, perchè non abitate tra ripari; le insidie son facili, i nemici molti, e siete sempre sul sospetto che mentre dormite non vengano ad assalirvi sul carro, ed uccidervi.


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Opere di Luciano voltate in italiano da Luigi Settembrini
Volume Terzo
di Lucianus
Edizione Le Monnier Firenze
1862 pagine 448

   





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