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      Pe’ solecismi poi e pe’ barbarismi un solo rimedio v’è, la sfacciataggine: sfodera subito un nome d’un poeta o d’uno storico, che non c’è, nè c’è stato mai, il quale faccia autorità che così si dee dire, ed era un uomo dotto, che sapeva tutte le squisitezze della lingua. Leggi, i libri vecchi no, o di quel chiacchierone d’Isocrate, o dello sgarbato Demostene, o del freddo Platone, ma i discorsi moderni, e quelle che chiamano declamazioni, dove ti puoi arricchire, e poi sfoggiare e sparpagliare, prendendo come da un pieno magazzino. Quando devi parlare, e gli uditori ti danno gli argomenti da ragionarvi, per difficili che questi sieno, tu parla di tutto, e sprezza tutto, come cose che non si dovevano proporre, e senza indugiare, di’ ciò che ti viene alla lingua, non pensando affatto quale cosa è prima e va detta in primo luogo, quale in secondo, e quale appresso, ma di’ prima quel che cade prima, se anche ti venisse detto gambiera in capo, ed elmo in gamba: seguita pure, e parla, e bada solo di non tacere. E se parli in Atene di qualche stupro o adulterio, di’ pure ciò che si fa in India e in Ecbatana: ma sopratutto ci sia Maratona e Cinegira, che non debbono mancar mai; e sempre si navighi monte Ato, e si tragitti a piè l’Ellesponto, e il sole sia oscurato dalle saette de’ Medi, e Serse fugga, e Leonida sia celebrato, e si leggano le lettere di Otriade, e si ripeta sempre Salamina, Artemisio, Platea, e molte altre battaglie: poi quelle tali parolette hanno a spiccare e rifiorire, e quel continuo checchè, e in fe’ mia, ancorchè non ci vadano, perchè sono belle anche dette a caso.


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Opere di Luciano voltate in italiano da Luigi Settembrini
Volume Terzo
di Lucianus
Edizione Le Monnier Firenze
1862 pagine 448

   





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