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      Mentre Eucrate parlava, io vedendo dove la cosa andava a parare, e come non indarno egli aveva fatto quel gran preambolo su gli oracoli; e di più non parendomi buona creanza di fare io solo il ser appuntino ad ogni cosa, te lo lascio che d’Egitto navigava a vele gonfie verso la Malea. Capii che non avevan piacere che io stessi lì a rimbeccare lo loro bugie, onde: Io me ne vado, dissi, a cercar Leontico, chè debbo essere con lui per certo affare. Voi che non siete contenti dei consueti avvenimenti umani, chiamate pure gl’iddii che v’aiutino a contar favole. Così dicendo sono uscito: essi lieti e senza impaccio si avran fatta una scialata, una scorpacciata di bugie.
      Eccoti, o mio Filocle, ciò che ho udito in casa d’Eucrate: e, per Giove, come quei che han bevuto mosto, io n’ho lo stomaco pieno, ed avrei bisogno di vomitare. Quanto pagherei un farmaco che avesse virtù di farmi dimenticare le cose udite: perchè temo che se me ne dura la memoria, non mi venga una malattia. E già non mi pare di vedere altro che Ecate, e demoni, e fantasime.
      Filocle. Ed anch’io, o Tichiade, ho provato lo stesso effetto al tuo racconto. Dicono che chi è morso da un cane arrabbiato non solamente egli arrabbia e teme l’acqua, ma se morde un altr’uomo gli dà la stessa rabbia e lo stesso timore. Così tu che in casa di Eucrate sei stato come morso da tante bugie, hai morso anche me, e m’hai empiuta l’anima di demoni.
      Tichiade. Rassicuriamoci, o amico: abbiamo contro questo male il gran farmaco della verità e della retta ragione: usiamolo, e non avrem paura di queste vane e sciocche menzogne.


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Opere di Luciano voltate in italiano da Luigi Settembrini
Volume Terzo
di Lucianus
Edizione Le Monnier Firenze
1862 pagine 448

   





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