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      Così anche tu servirai di libri chi ne ha bisogno, ma servirtene tu non potrai. Sebbene non hai servito mai nessuno di libri, e fai come il can della stalla, che non mangia orzo, e non lascia mangiarne al cavallo. E basta per ora la sbrigliata che pe’ soli libri t’ho data: per le altre tue sozzure e brutture te ne darò qualche altra in avvenire.
     
     
      LVIII.
      DI NON CREDERE FACILMENTE ALLA DINUNZIA
     
     
      Tristo male è l’ignoranza, e cagione di molti mali agli uomini: essa diffonde quasi una caligine su le cose, oscura la verità, e getta un’ombra su la vita di ogni uomo. Noi sembriamo come quelli che vanno al buio, anzi siam come ciechi, e dove intoppiamo a caso, dove trapassiamo alla ventura, questo che ci è vicino e innanzi a’ piedi non vediamo, quello che è lontano e molto discosto temiamo come ci fosse molesto. Insomma in tutte le azioni noi stiamo sempre per cadere. Or questo ha dato ai poeti tragici innumerevoli argomenti di drammi, i Labdacidi, i Pelopidi, ed altri simili; chè quasi la maggior parte delle sventure messe in su la scena, tu trovi che l’ignoranza, a guisa di un tragico demone, le fornisce. Dico questo considerando altre cose, e specialmente le false denunzie contro amici e famigliari; per le quali già furono e case rovinate, e città spiantate, e padri infuriarono contro figliuoli, e fratelli contro fratelli, e figliuoli contro genitori, e amanti contro le persone amate: molte amicizie si ruppero, e molte case sprofondarono per essersi creduto a calunnie verisimili.
      Affinchè dunque quanto meno è possibile v’inciampiamo, io voglio in questo ragionamento, come in una dipintura, mostrare che cosa è la dinunzia, donde si origina, e quali effetti produce.


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Opere di Luciano voltate in italiano da Luigi Settembrini
Volume Terzo
di Lucianus
Edizione Le Monnier Firenze
1862 pagine 448

   





Labdacidi Pelopidi