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      Dorione. La riconobbe Epiuro e se la riprese in Samo e ne avemmo le batoste grandi. E poi ti portai cipolle da Cipro; e cinque acciughe, e quattro perchie(85) ti portai quando tornammo dal Bosforo. Che più? otto biscotti secchi in canestro, e un boccale pieno di fichisecchi di Caria; e infine da Patara un paio di sandali dorati, o ingrata: e una volta mi ricorda ancora una gran girella di formaggio del Giteo.(86)
      Mirtale. Tutto cotesto, o Dorione, è roba di un cinque dramme.
      Dorione. Secondo il potere di un marinario, o Mirtale, è grassa paga. Ora che sono il primo remo del lato destro, ora mi disprezzi. Poco fa nella festa di Venere non posi io per te una dramma d’argento appiè della dea? Un’altra volta alla mamma tua due dramme per le scarpette: e spesso in mano a Lida ora due, ora quattr’oboli. Tutte queste cose insieme sono l’avere d’un marinaio.
      Miriate. Le cipolle, e le saperde, o Dorione?
      Dorione. Sì: più non avevo per portartelo: se ero ricco io non remavo. A mia madre non le ho portato mai una sola testa d’aglio. I’ ti vorrei proprio sapere i doni che ti fa il Bitino.
      Mirtale. Vedi questa vestetta? me l’ha comperata egli, e questa collana massiccia.
      Dorione. Egli? io te la so da tanto tempo la collana.
      Mirtale. Quella che sai tu era più leggiera, e senza smeraldi. E questi orecchini, e un tappeto, e poco fa due mine, ed ha pagato anche la pigione per noi. Altro che zoccoli di Pataro, formaggio del Giteo, ed altre bagattelluzze.
      Dorione. E con chi ti corchi non lo dici questo?


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Opere di Luciano voltate in italiano da Luigi Settembrini
Volume Terzo
di Lucianus
Edizione Le Monnier Firenze
1862 pagine 448

   





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