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      E pure saria minor male, se questa razza non facesse a noi nessun’altra ingiuria. Questi figuri sì gravi e severi di fuori e in pubblico, se trovano leggiadro garzone o bella donna, e ne sperano, oh, non si può dire le cose che fanno. Alcuni ancora dopo di aver disonorate le mogli dei loro ospiti, le menano via, come il giovanetto troiano, ma ve’, per renderle filosofesse; e poi le accumunano fra tutti i compagni, credendo di mettere in pratica una dottrina di Platone, senza intendere in qual senso quel divino uomo voleva comuni le donne. Le sporchezze poi che fanno nei conviti, e le ubbriacature che vi pigliano ci vorria troppo a dire. E mentre fanno queste cose, che ti credi? condannano l’ubbriachezza, l’adulterio, la lascivia, l’avarizia! Non ci è cosa tanto contraria a cosa, quanto le parole loro ai fatti. Così dicono di abborrire l’adulazione, e in fatto di adulazione passano a piè pari Gnatone e Strutia: raccomandano agli altri di dire la verità, ed essi non potrebbero muovere la lingua senza dire una bugia: il piacere è nemico a tutti in parole, ed Epicuro è il grande avversario, ma nel fatto non cercano altro che il piacere. Stizzosi, pettegoli, collerici più dei fanciulli, fanno veramente ridere a vederli per una cagionuzza andare in bestia, diventar lividi in volto, guardar fieramente intorno, con la bocca piena di spuma anzi di veleno. E fatti in là, quando n’esce quella feccia di parole: Nè oro nè argento, per Ercole, io mi curo di avere: un obolo mi basta, per comperar lupini; una fontana o una fiumana mi darà bere.


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Opere di Luciano voltate in italiano da Luigi Settembrini
Volume Terzo
di Lucianus
Edizione Le Monnier Firenze
1862 pagine 448

   





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