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      Deh, dammene qualcuna di queste, o possente Saturno, affinchè anch’io goda un po’ della tua signoria: io solo non dovrò avere mai briciola di bene per tutta la vita?
      Saturno. Vedi? m’hai dimandato ciò che non è in poter mio: chè non le distribuisco io queste cose: però non ti crucciare se non le avrai: chiedile a Giove quand’ei ritornerà signore tra poco. I’ prendo la signoria con certi patti, io; non più che per sette giorni, dopo i quali subito ritorno privato e come uno del popolo. E in questi sette giorni io non debbo impacciarmi di faccende gravi o pubbliche; ma solamente bere, imbriacare, gridare, scherzare, giucare a dadi, fare al tocco, fare sguazzare i servi, canterellare ad aria, applaudire pencolando, essere talvolta tuffato col capo giù nell’acqua fredda, aver la faccia inzavardata di fuliggine, questo mi è permesso di fare: quelle cose grandi, come le ricchezze e l’oro, le dà Giove a chi gli piace.
      Il Sacerdote. Ma egli, o Saturno mio, non è nè facile nè alla mano. Io mi sono stanco a pregarlo, e sprecar tanto fiato. Ei fa sempre il sordo, e squassando l’egida, brandendo la folgore, e volgendo una guardatura in torto spaurisce chi vorria chiederli. E se talvolta si piega a qualcuno e l’arricchisce, lo fa senza giudizio, e proprio per istrazio: chè spesso lascia secchi gli uomini dabbene e sennati, e piove ricchezze su i ribaldi, gli stolti, i bagascioni, la gente da forca, ed altra canaglia. Ma le cose che puoi dare tu, vorrei saper quali sono.
      Saturno. Eh, non sono piccole nè spregevoli le cose che posso fare io nel mio regno.


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Opere di Luciano voltate in italiano da Luigi Settembrini
Volume Terzo
di Lucianus
Edizione Le Monnier Firenze
1862 pagine 448

   





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