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      Zenotemi si fece dare dal servo e lesse un libretto di caratteri minutissimi. Essendovi il solito intervallo tra una portata e l’altra, Aristeneto per non lasciarci senza diletto neppure quel tempo, comandò che entrasse un buffone, che con motti e lazzi rallegrasse i convivanti: ed entrò un brutto omiciattolo con la zucca rasa, e solo un ciuffetto ritto sul cocuzzolo, il quale ballò dimenandosi e scontorcendosi per parer più ridicolo, e battendo il tempo, recitò certi anapesti con l’accento nasale degli Egiziani, e infine lanciò un frizzo per uno a tutti. Gli altri quand’eran frizzati ridevano, ma quando egli toccò Alcidamante e lo chiamò botolo maltese, quegli sdegnato (e già gli si vedeva in grinta una certa invidia al buffone, che si aveva attirati gli sguardi e l’attenzione della brigata), e gettato via il mantello, lo sfidò al pancrazio; e se no, disse, l’accopperia di bastonate. Il povero Satirello, che così chiamavasi il buffone, levasi, e comincia il pancrazio. Era una cosa piacevolissima vedere un filosofo fare alle pugna con un buffone, e darne, e toccarne la parte sua: e gli spettatori chi arrossiva per la vergogna, chi rideva; finchè stanco Alcidamante ed ammaccato ben bene da quell’ometto indurito a questo esercizio, si diede per vinto. Tutti e due ci fecero fare le più grasse risa del mondo.
      A questo punto entrò il medico Dionico, non molto dopo la disfida. Venne tardi, come ci disse, per aver dovuto curare il flautista Polipreponte preso da una frenesia: e ci contò un fatto ridicolo.


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Opere di Luciano voltate in italiano da Luigi Settembrini
Volume Terzo
di Lucianus
Edizione Le Monnier Firenze
1862 pagine 448

   





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