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      Disse che egli v’era andato senza sapere che colui era già pazzo; e che quei tosto che lo vede entrare, si leva, serra la porta, e sfoderata una spada, gli porge i flauti e dice: suona; e perchè ei non poteva, il pazzo con una coreggia lo batteva nelle palme delle mani. Il pover’uomo vedendosi così male parato, ricorre ad un’astuzia, sfida egli il pazzo, chi suona male avrà tanti colpi, e suona egli prima; poi dati a lui i flauti, e presagli la spada e la coreggia, le gitta subito per la finestra nel cortile. A questo s’afferrano, dibattonsi, ei grida accorruomo, vengono i vicini, sconficcano la porta, e lo cavano di quel pericolo. E ci mostrava ancora i lividori delle botte avute, e alcuni sgraffi su la faccia; e col suo racconto sollazzò la brigata non meno che aveva fatto il buffone: poi ficcatosi alla meglio vicino ad Istieo, si messe a mangiare di ciò che v’era rimasto. Dionico ci venne proprio mandato da un dio, perchè fu utilissimo in ciò che successe dipoi.
      In questo mezzo ecco entrare un servo che dice venire da parte di Etimoclete lo stoico con una lettera, ed avere comando dal padrone di leggerla in pubblico, farla udire a tutti, e subito tornarsi. Aristeneto gliene diede il permesso, ed egli si fece ad un candeliere, e lesse.
      Filone. Forse, o Licino, una lode alla sposa, un epitalamio come si suol fare?
      Licino. Altro! anche noi credevamo così, ma neppure per sogno. Lo scritto diceva:
      «Etimoclete filosofo ad Aristeneto.
      «Quanto io stimi i banchetti, tutta la mia vita passata lo dimostra; chè ogni giorno son noiato da molti più ricchi assai di te, ed io non ne accetto mai gl’inviti, sapendo il chiasso e le scostumatezze che nei banchetti si fanno.


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Opere di Luciano voltate in italiano da Luigi Settembrini
Volume Terzo
di Lucianus
Edizione Le Monnier Firenze
1862 pagine 448

   





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