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      E tu sposo gentil, fior di garzoni,
      Salve, o sposo gentil, che sei più bello
      Del bel Nireo e del figliuol di Teti.
      Noi spesso ad ambedue ricanteremo
      Questa gioiosa nuzial canzone.
      Essendosi riso molto di questi versacci, si venne a prendere il servito. Aristeneto ed Eucrito presero ciascuno la parte sua; io la mia, e Cherea ciò che gli stava innanzi: così parimente Iono e Cleodemo. Difilo voleva pigliarsi anche la porzione di Zenone che se n’era ito, e diceva che tutto spettava a lui, e s’accapigliava coi servi, e afferrata una pollanca facevano a tira tira, come fosse il cadavere di Patroclo; ma infine fu vinto egli, e dovette lasciarla: i convivanti ne risero assai, specialmente perchè egli dipoi tutto s’arrovellava, e diceva che gli avevan fatto un torto grandissimo. Ermone e Zenotemi, che sedevano vicino, come ho detto, l’uno più su, l’altro più giù, di ogni cosa ebbero le porzioni eguali, e se le presero; se non che la pollanca messa innanzi ad Ermone era forse più grassa. La buona creanza voleva che ognuno si avesse pigliato così ciò che gli stava innanzi. In questo mentre Zenotemi (attento, o Filone, che ora viene il bello), Zenotemi adunque lascia la sua, e piglia quella d’Ermone che era più grassa: Ermone gliel’afferra, e non si fa soverchiare. Qui le grida: s’azzuffano, si sbattono la pollanca in faccia, e abbrancatisi per le barbe, chiamano soccorso; Ermone chiamava Cleodemo, Zenotemi chiamava Difilo ed Alcidamante. Questi accorrono chi per l’uno, chi per altro: Iono solo no, e si rimase neutrale.


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Opere di Luciano voltate in italiano da Luigi Settembrini
Volume Terzo
di Lucianus
Edizione Le Monnier Firenze
1862 pagine 448

   





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