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      Così, si comporta, in questo principio di secolo, la nostra psiche. Un poeta, Gabriele D'Annunzio, ha creduto di riassumerla ed ha piegato il suo verso a cantarla: nulla ha ommesso? Ha inteso la virtù civile del suo annuncio? Ha voluto scoprire quanto, per due millennii, instantemente si rivelava senza interruzione? Per la sua forma nuova, o creduta tale, dice delle cose nuove?
      Ha sorpreso, insomma, nella collettività ondivaga, l'espressione di una filosofia generale e da tutti accolta, ratio vitae, od è singolo cantore di sè stesso, ad invidia di quelli, ai quali espone bellezza ed utilità per loro inaccessibili? È opera universale, o di privata soddisfazione? Distrugge? Fabrica?
      Ancora, ingenuamente e sinceramente, Gabriele D'Annunzio s'illude del suo valore e cesella, sopra una lunga lastra di bronzo, ripetendosi, molti suoi ritratti stilizzati e collegati con li svolazzi capricciosi di una erudizione(27) speciale, complessa e speciosa: ancora, egli si fa centro di un universo distinto e favoloso, rappresentazione de' suoi appetiti, projezione de' suoi sogni amorali e splendidamente inutili, donde dà fiato, e noi lo seguiremo al poema.
      NOTE.
     
      III.
      IL POEMA DI MAJA.
      Or dunque, come avesse ignorato la istante, continua, profonda efficacia (nelle avventure sanguinose e infiorate, tragiche e gioconde della umanità) di questa forza, di questo desiderio, per cui fu possibile la figurazione del Pan mitologico, il poeta abruzzese, quasi destatosi da un lungo sonno comatoso, riapre li occhi alla evidenza di lui e lo scorge accolto, partecipato, assimilato, ed anche, dai migliori, personificato nelle attitudini del tempo presente.


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Antidannunziana
D'Annunzio al vaglio della critica
di Gian Luigi Lucini
Studio editoriale lombardo
1914 pagine 379

   





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