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      Ha trovato un Profeta coprofago:
      «Foggierà egli il fango?
      Smuoverà il letame!»
      E si ritira e si balocca colle imagini e si annubila di sogno e ricanta il suo io.
      Un principio confuso gli fermenta in capo. Assegna alli Effimeri una comparsa di lontane ombre, lustranti, per varietà, sul fondo della scena tragica. Saranno i vinti dalla fortuna, dall'oppressione, dall'ingiuria, dalla nequizia delli uomini, saliti senza merito alle cime, cose da mercato, ingombro gemebondo; egli, l'Egoarca della inutilità, potrà destinarli nel tempo e nello spazio, pedine di giuoco, come al suo piacere talenta, sopra il pezzato scacchiere della vita.
      Con altre intenzioni puramente formali e da dilettante (lo spinge la moda), dà l'inno alla imperiale straccioneria della suburra: la glorifica, pezzenti sanguinari, fulvi animali indomesticati, nell'ubriachezza, brandendo il coltello, atleti di sobborgo, rigonfi di muscoli, le braccia pugnaci, escrescenze velenose del delitto e della miseria, mantenuti dall'amore anormale delle quadrantarie e dalla paura dei custodi dell'ordine.
      Scende con loro nei lupanari; e gli rappresentano antiche ginnasiarche e recenti lotte, ritorno alla bestialità primordiale. Con altra partecipazione, con altro sereno amore di compassione e di redenzione, evangelizzano i selvaggi, che vivono nelle fervide cerchie delle città attuali, Eeckoud e Gorki; e, l'uno dalle praterie e dai boschi delle Campine, l'altro dalle steppe ucraine portano li eroi refrattarii e sequestrati dalla comunità, scoprendo, a chi vuol ignorare ed a chi teme, i tesori nascosti nelle fonde, semplici e fruste coscienze rudimentali.


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Antidannunziana
D'Annunzio al vaglio della critica
di Gian Luigi Lucini
Studio editoriale lombardo
1914 pagine 379

   





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