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      In fondo, sotto le incrostazioni, sotto i sedimenti sopraposti e distintissimi, che la coltura, la raffinatezza, il trionfo, le lodi e la jattanza hanno depositato intorno al nucleo della coscienza prima e sincera, questa facilmente ed ancora si scopre. Semplice, entusiasta, squisita permane: si meraviglia, con orgasmo fanciullesco, delle bellezze ed eccita la volontà ad emularle; continuamente in fremito, in agitazione, vibrante minuzia temprata ad ogni soffio di brezza, credesi produttivo di armonia e presume proficuo l'agitarsi sul posto ed il contemplare i diversi aspetti suoi successivamente acquistati nei diversi momenti della sua lunga crisi. Certo il D'Annunzio può dire, perchè lo crede ed ha fede di credere il vero ed il reale, col maestro: «No; la vita non mi ha ingannato. Anzi, d'anno in anno, la trovo più ricca, più desiderabile, più misteriosa. Oggi non mi si rappresenta più come un dovere, una fatalità, un inganno».
      La vita è così un mezzo di conoscenza; con questo principio nell'anima, non solamente si deve vivere coraggiosamente, ma ancora con gioia, ridendo di gioia. Ma egli sarà come il maestro colui che ha sopportato la soma delle miserie, che ha vinto nelle sere di battaglia, all'ultimo raggio di sole, le estreme vittorie; sarà l'uomo che si lasciò dietro un orizzonte di mille anni, per portarsi sul margine, erede di tutto lo spirito del passato, foriero dello spirito del futuro? L'uomo il più antico ed il più a venire, carico delle conquiste, delle scoperte, dei desiderii, delle disfatte di tutta l'umanità; l'uomo-umanità, simbolo riassuntivo di tutto questo, in un solo sentimento?


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Antidannunziana
D'Annunzio al vaglio della critica
di Gian Luigi Lucini
Studio editoriale lombardo
1914 pagine 379

   





D'Annunzio