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      Comunque, pubblico e magistratura sorridono volontieri da auguri ben avvisati, quando vien posta loro davanti la questione del plagio; ed è per l'autore derubato una crudele ironia il vedersi commisurato con alquanto dileggio della sua sciagura, che fu quella di imbattersi in grassatori di letteratura. Gli si dice piacevolmente: «Dovevi vigilare da te la roba tua»! come il giudice spartano a chi gli si querelava di un furto patito. Un ladro è sempre un furbo, tanto più professi, con disinvoltura ed eleganza, l'arte di rifondere le argenterie sacre e profane furate, in un suo secreto crogiuolo, donde esce pel suo successo una verga di metallo al suo presunto marchio. I cento e mila plagiatori di professione non vantano la sentenza di D'ULBACH, per quanto giureconsulto: «L'idea è di tutti; la forma è di ciascuno in particolare»?
      A questo dettato si sarebbe fatto solidale il nostro Croce; se non che, per quanto più comunista, è meno equo e lascia campo ad attribuzioni, le quali, se possono giovare alla teoria hegeliana del professore di Napoli, contrastano colla idea generale che si ha intorno al plagio, comprovato assolutamente, come nel caso del Bois. Così ammettendosi, che, per evitare il biasimo e la condanna di plagio, basta produrre un'opera, che, nel suo totale, non assomigli all'opera copiata, si è troppo semplicista; donde i sartori delle casacche d'arlecchino saranno sempre considerati in buona fede ed avranno sempre indisturbato il diritto di esercitare la propria professione.


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Antidannunziana
D'Annunzio al vaglio della critica
di Gian Luigi Lucini
Studio editoriale lombardo
1914 pagine 379

   





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