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      Percuotendo D'Annunzio che udiremo? Egli, come in genere i Bizantini ed in specie i Turchi, riabbassa il titolo dei metalli altrui, impiegati da lui nella sua lega che mal si fonde, perchè li elementi spesso sono idiosincratici l'uno all'altro: suona dunque falso; giacchè egli, per contrafare, peggiora e sciupa li elementi, in quanto li dota di menzogna. È allora dalla sonorità di un'opera che si indica il plagio in modo evidente, oltre che morale, fisico; e bisogna essere in genere, ben poco sensibili, aver minimamente educato l'orecchio letterario, se, facendo il critico di mestiere si arriva a giudicare che D'Annunzio, occupando violentemente l'altrui, lo migliori col suo. Basta vedere da chi prende, ed è facile stabilire come non sia possibile, ma assurdo, reputare che il maggiore diventi più piccolo del minore, e Tolstoi, ad esempio, si rifaccia nano davanti il pigmeo D'Annunzio.
      Un'altra volta ricadiamo nella questione ad hoc.
      I pensieri di tutti li scrittori, da cui attinse d'Annunzio, hanno perduto la loro originalità di nascita, non si possono più riconoscere per quelli di Flaubert, di Maupassant, di Zola, di Tolstoi, di Maeterlinck, ecc. ecc., perchè amalgamati e rifusi nel crogiuolo unico della forma d'annunziana? Mai no; chè nessun lettore delle fonti d'annunziane, leggendo D'Annunzio, si sarebbe accorto del plagio: anzi quegli ha notato dalla diversità di tono, dal diverso suono del metallo, prosa o poesia, che ciò non gli apparteneva; e, messo in allarme dalla sua memoria, ricercò, sui testi, le ragioni e le trovò, a convalidarlo, nella sua diffidenza, dal dubio in certezza.


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Antidannunziana
D'Annunzio al vaglio della critica
di Gian Luigi Lucini
Studio editoriale lombardo
1914 pagine 379

   





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