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      Con ciò io non danno il nostro autore: egli, pur troppo, è obbligato alla falsità organicamente; lo ha dimostrato dalla sua più tenera giovanezza.
      Al Convitto Cicognini(59) di Prato, ingannò, nel 1887, quand'egli era in seconda o terza ginnasiale, il suo buon maestro de Titta, il quale crede tuttora l'abbia burlato, per saggiargli la propria erudizione, che, al punto, fu in difetto. No: fu non il primo nè l'ultimo saggio del modo con cui soleva comporre e comporrà, in seguito, il D'Annunzio; anche la sua precocità doveva indicare la nota: Plagio. - Da allora, l'impunità acquisita, la facilità aumentata col buon gusto e la lettura copiosissima di libri poco noti in patria, la piega del suo carattere si fanno abitudine; indi, seconda natura; poi, funzione: egli scriverà originalmente nell'interlinea dell'opere che legge non disinteressatamente, e per usarne in vista di quello ch'egli vuol comporre. Adatterà situazioni, personaggi, descrizioni al suo assunto; impiegherà materiale già definito, polito, squadrato dalle cure altrui alla sua casa; perchè per cercar nuovo e originale, si fa più fatica, quando non sia più difficile od impossibile alla mente d'annunziana.
      - È ancora lo scolaretto, che bara col falso bel compito d'italiano, il buon de Titta; rimarrà sempre colui, che, lucrando sulla buona fede e dell'editore e dei lettori, metterà in circolazione, come proprii, prodotti alieni, intonati più o meno bene alla ragion generale di un suo lavoro. Egli non potrà mai vincere, con altra e maggiore volontà, la piega della facilissima abitudine, la forza di inerzia, che lo ha confitto ad usare di un metodo troppo spiccio, in arte; perchè le trovate di questa sono di bellezza, ed in quel genere son perfette, che, col tornarci su, - come inversamente accade nelle scoperte scientifiche, che, meglio elaborate, danno altre nuove applicazioni - si guastano e si rendono imperfette: e D'Annunzio, così, ha abituato la sua mente a far senza della necessaria ginnastica del creare per sè: donde, disimpiegata di quella funzione, ne ha atrofizzato l'organo, che, pur nobilissimo, doveva funzionare, scattando automaticamente, a richiesta delli urti esterni.


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Antidannunziana
D'Annunzio al vaglio della critica
di Gian Luigi Lucini
Studio editoriale lombardo
1914 pagine 379

   





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