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      Ed allora, Gabriele D'Annunzio può vantare una piramidale libreria stipata di suo conio e pretendersela a dovizioso. Potremo, al proposito, soggiungere, a codesto inutilmente dispendioso e fortunato accaparratore, anche questo: «Lo(XXVI) spendere solamente del tuo è quello che ti nuoce, et non vi ha cosa che più consumi sè stesso quanto la liberalità, la quale, mentre tu l'usi, perdi la facoltà di usarla et doventi o povero o vile, o, per sfuggire la povertà, rapace et odioso»? - No; che al fatto presente, l'imaginifico deve essersi messo invece tra l'ultimo più pratico, facendosi proprio l'abito suo e le sue virtù: però che la liberalità è necessaria «(XXVII)a chi si pasce di prede, di sacchi et di taglie et maneggia quel d'altri, et di quello che non è suo può essere più largo donatore». Bene! Ma quando mai egli ha donato? Ha vendute care, carissime, anche le intenzioni.
     
      NOTE.
     
      RASSEGNA DI "FEDRE"
      - Battute di aspetto -
     
      si leggeva, senza note, in La Giovine Italia, rivista mensile che durò il solo anno 1909 e si stampava in Milano, sotto il titolo generale di: Le Esecuzioni capitali, e singolare: Il pifferaro abruzzese.
      «A tout seigneur tout hônneur», così avrei incominciato queste note critiche, se La Giovane Italia fosse in maggiore amicizia coll'editore Treves, il quale ci avrebbe, per questo, affidato il volumetto per la solita rinomea. Avrei pure aggiunto, all'insuccesso della scena, la prova della pochezza letteraria; e ciò mi avrebbe servito, come sempre, per la mia notissima pregiudiziale antidannunziana.


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Antidannunziana
D'Annunzio al vaglio della critica
di Gian Luigi Lucini
Studio editoriale lombardo
1914 pagine 379

   





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