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      PER FINIRE.
      «Il critico letterario dell'Italia del Popolo finisce un suo articolo sulle Laudi del D'Annunzio (nel quale, del resto, per quel poco che ne abbiamo potuto capire, il giudizio complessivo ci pare esatto) con questo periodo di meravigliosa chiarezza e semplicità: «non è forte abbastanza, come lo Gide, il Laforgue ed il Rimbaud, d'aggiungere la ironia disincantata e passionale o di non credere alla sua fabrica perchè inganna e vi si inganna; ma con troppa ingenuità presta fede ai suoi fumi di sogni e protesta d'aver agito mentre dormiva... In fine si acqueta, insinuando che nulla vi ha di più nobile, che la dolce armonia della frase, che le carezze di una etera, che la rosa di Pesto ed il vino dell'Isole, pur gridando alle patria, scoliaste di dopo pranzo, quando il di più si rece o si rigurgita nella strofa del brindisi, collaudato di similitudini, per rinnovata e stramba epistemologia».
      «Non pare una di quelle parodie dello stile del Bovio che si leggevano sul Don Chisciotte dei bei tempi?»
      (37) … «una specie di Ras abissino, coperto il corpo d'una tovaglia ritorta in modo di turbante. Le braccia conserte, la faccia levata al cielo... - E non di rado chi fosse salito, nelle ore torride del pomeriggio, sul più alto terrazzino del suo «Convento», ve lo avrebbe trovato in quel costume istesso disteso sull'asfalto infuocato, come un pollastro sulla graticola ad arrostirvi le membra con una espressione di indicibile voluttà». Costui era il Michetti che insegnò vestirsi al Poeta, ed ora il figliuol suo Gabriellino D'Annunzio ve lo descrive in su La Lettura del novembre 1912 in Ricordi D'Annunziani, fattasi la penna allo stile paterno, dopo d'averne recitato i versi, mezzo nudo, dalla platea.


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Antidannunziana
D'Annunzio al vaglio della critica
di Gian Luigi Lucini
Studio editoriale lombardo
1914 pagine 379

   





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