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      (46) Silvio Benco, Enquête, pag. 43 e seg.
      «Io non scrivo più versi da parecchi anni: tuttavia sento in me che, se ne scrivessi ancora, sarei tratto per un naturale impulso a seguire linee ideali di musica che mi allontanerebbero dagli schemi metrici modellati in altri secoli. Mi ricorderei, cioè, inconsciamente di aver teso l'orecchio a melodie ampie e solenni, o nervose e spezzate, di Beethoven, a molteplici avvolgimenti del genio armonico di Wagner: impressioni dello spirito tanto profonde in noi, tanto da noi indivisibili, quanto ignote ai creatori del nostro classico verso nei loro tempi lontani. Musicale è l'atmosfera nella quale il nostro tempo nasce, vive, si conforta e sogna. Noi non ci possiamo sempre tradurre nelle forme di parecchi secoli addietro: e sarebbe una puerilità il farlo per ostinazione e per ostentazione.
      «Del resto, la fortuna di una forma - a parte la sua fatalità che ho già detto - dipende dall'importanza delle cose che in essa sono espresse. L'importanza del temperamento poetico di Carducci fu la fortuna delle Odi barbare, le quali vinsero una battaglia che più volte era già stata combattuta invano da uomini troppo deboli perchè si ascoltassero come poeti. Le forme, senza pienezza di sostanze, sono desiderii e istinti. La poesia compie storicamente il suo rinnovamento all'apparire dell'uomo. Quando il maggior poeta di una generazione canterà in «versi liberi» nessuno contrasterà più a questo svolgimento ormai naturale ed ineluttabile dell'espressione poetica».


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Antidannunziana
D'Annunzio al vaglio della critica
di Gian Luigi Lucini
Studio editoriale lombardo
1914 pagine 379

   





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