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      Lavorare, in Italia letterariamente e con sincera passione, col sottinteso in corpo di farsi una posizione, mi pare tal assurdo da non aver scusa; ed il presupporsi mancato per la cattiveria altrui è una ingenuità dalla quale desidererei spoglia l'indole filosofica di Enrico Thovez.
      (64) Anche Emilio Settimelli, su La Critica di B. Croce, Bologna, Beltrami, 1912 - è del mio parere: «Strano giudizio sui plagi del D'Annunzio! Li considera un segno della invadente sua personalità. Mi pare gli altri abbiano invaso il D'Annunzio! Qualche opera sua mi è stata definita: «un'antologia di letteratura internazionale». Ma il Croce rovescia la medaglia e trova nella brutta faccenda il bel gesto per salvare la fama preziosa del simpatico poeta abruzzese» - pag. 87-88. - Gli è che a Benedetto Croce non importa di sapere con che animo si sia fatto o si faccia, purchè il risultato concordi col buon gusto corrente e col successo: non vidi mai il Croce inchinarsi sopra la preziosa oscurità del vero merito nascosto, indicare al pubblico la perla fine da lui scoperta, pedissequo, in ciò, al maestro suo Hegel per cui la verità è data dal successo, cioè, da quanto è diventato, e, secondo me, già trapassato; però che nel punto in cui si diviene si trapassa pure. I suoi letterati gli furono additati dal pubblico e su questo suffragio egli ha iniziato La storia della letteratura italiana nella seconda metà del secolo XIX. Non bisogna mai dimenticarsi, parlando del filosofo napoletano, che egli è un perfetta pragmatista.


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Antidannunziana
D'Annunzio al vaglio della critica
di Gian Luigi Lucini
Studio editoriale lombardo
1914 pagine 379

   





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