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      E veramente i personaggi non hanno una fisionomia discernibile, nemmeno dal punto di vista della solita astrattezza. Si bada alle cose che dicono, alla mitologia che espongono, non ad essi: non, come dovrebbe naturalmente accadere, al loro fondo, al loro carattere, sul quale le cose dette dovrebbero poggiare, o nel quale, meglio ancora, le cose dette dovrebbero essere assorbite. Il lettore, in fine, si accorge che nella tragedia una sola persona lo ha colpito per qualcos'altro che non sia la mitologia raccontata: Fedra, la quale può dirsi che occupi l'opera dalla prima all'ultima scena. Ma Fedra è la personificazione del «superamore», che arriva a dire:
      Il mio nome è ineffabilecome il nome di chi sovverte antiche
      leggi per porre una sua legge arcana.»
      Pag. 338. - Ed anche il Morello deve ammettere, che, davanti al pubblico, l'iddio da cui costantemente il D'Annunzio è beneficato, cadde e non ebbe «festa l'altra e più antica nave che porta al mare Saronico il serpente e l'aconito, che dalle mani del pirata Fenicio, Fedra riceve per la vendetta della sua passione furente». Op. cit, 101 - «La Catastrofe di Fedra non fu clamorosa ed insolente come quella di Più che l'amore, perchè mancava il lievito della quistione morale che sollevasse fino alla indignazione le disaprovazioni: fu una mite e rispettosa catastrofe che addolorò il poeta forse più di quella clamorosa ed insolente». pag. 102. - Può dunque concludere il Critico del Times, sopra il suo inglesissimo giornale pudibondo:
      «D'Annunzio ha trattato il tema in modo brutale.


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Antidannunziana
D'Annunzio al vaglio della critica
di Gian Luigi Lucini
Studio editoriale lombardo
1914 pagine 379

   





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