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      D'Annunzio non ha fatto che tradurre magnificamente i pensieri e le speranze dei suoi compatrioti, dei suoi fratelli.
      «Egli ha espresso il loro sogno di conquista mediterranea in termini sonori e sfarzosi come le trombe stridenti delle coorti imperiali. Forse gli stranieri penseranno che vi č una singolare sproporzione fra il sogno e la realtą. Sembra che finora Giove Statore abbia grandinato soltanto sulla sabbia: le aquile romane non sanno dove posare il loro volo in quel deserto e non incontrano che magri allori. Ma sono queste osservazioni da straniero. L'Italia vede la guerra con altri occhi. Quando tutto un popolo comunica in uno stesso slancio, in una stessa fede, in una stessa speranza lo spettacolo impone il rispetto.
      «Bisogna soprattutto considerare la spedizione di Tripoli come un simbolo e D'Annunzio non ha fatto altra cosa. Nessuno pił di lui era adatto a commentarla. Egli conosce perfettamente le tradizioni e le leggende marittime del suo paese. Conosce l'ambizione di Roma, un tempo soddisfatta di regnare sul mare come sulla terra. Egli pensa che l'Italia deve riannodarsi al suo passato. Mi ricordo che un giorno D'Annunzio mi diceva: - Sono un poeta navale. La mia prima opera di poesia fu consacrata alle divinitą marine. Durante la mia infanzia, trascorsa sulle rive dell'Adriatico, salivo su di un brigantino che apparteneva a mio nonno. La mia famiglia abitava presso Pescara, a Villa del Fuoco, a poca distanza da un villaggio chiamato La Madonna del Fuoco. Nel giardino della villa si incontravano qua e lą delle ancore arrugginite che ricordavano le vecchie galere.


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Antidannunziana
D'Annunzio al vaglio della critica
di Gian Luigi Lucini
Studio editoriale lombardo
1914 pagine 379

   





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