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      (79) Oh, generoso esilio fortunato: prima, il poeta viene celebrato in effigie, consacrandogli il successo tra dame e cavalieri del più select mondo parigino per l'ultimo Forse che si, forse che no, dietro l'invito della Casa editrice mecenatessa Les Arts - la quale fa così i proprii affari - sotto l'eloquenza del conte Roberto de Montesquiou, festevolissimo decadente; il quale, impeccabile nella marsina, con tanto di fiore simbolico all'occhiello, da vero poeta dell'Hortense bleue ne declamò le bellezze cercandole per le pagine col lanternino non di Diogene. - Poi, per non far torto al suo Paolo Tarsis, ma con maggior prudenza, vola col conte di Lambert nell'aereodromo di Vélizy dopo il figlio e la figlia di Teodoro Roosevelt: ed il poeta pitoneggia: «Ho già conosciuto la gioja profonda dell'aereoplano; non potevo credere a tanta emozione. In una giornata così bella si vola e si vedono le minime ombre dei terreni fino ai cespugli d'erba». - Infine, sa trattenere l'entusiasmo, che è una adulazione, quando, davanti ad un qualunque redattore del Matin, lasciasi sfuggire la sua parolaja dissenteria:
      «Ho seguito questo figlio di Francia nel suo folle volo al di sopra dell'umanità con un interesse più tenero che ansioso, perchè ero certo del suo trionfo e sicuro della sua conquista. In fondo all'animo mio, lo consideravo più come uno strumento della razza e della vittoria, che come un individuo lanciantesi solo in battaglia contro le cose ostili. Mi sono compiaciuto di figurarmelo, questo meraviglioso latino, un Mercurio dai piedi alati, che, senza dubbio, un giorno andrà a cercare sulla cima del Puy de Dôme le rovine del suo tempio, come un simbolo, un'espressione, la freccia lanciata alla vetta, come l'arma stessa della mirabile conquista.


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Antidannunziana
D'Annunzio al vaglio della critica
di Gian Luigi Lucini
Studio editoriale lombardo
1914 pagine 379

   





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